Informazioni generali







Informazioni generali sul miele ed i suoi componenti

La propoli

E’ una sostanza ceroide-balsamico-resinosa di colore estremamente variabile, con tonalitá dal giallo bruno fin quasi al marrone scuro. Ricca di flavonoidi, idrossiacidi, terpeni, aldeidi ed alcool aromatici, oltre ovviamente ad olii essenziali, viene raccolta negli alveari con svariate tecniche, con un’apposita griglia o semplicemente con la raschiatura dei telaini che di essa ne sono per buona parte ricoperti.
La parola propoli é di derivazione greca, dove pro sta per “davanti, in difesa” e polis per “cittá”, nel caso specifico la cittá delle api, cioé l’arnia. Conosciuta per il suo impiego per bocca o per applicazione locale, ancora oggi si sfruttano le sue proprietá antimicrobiche, giá scoperte parecchi secoli prima di Cristo.

La propoli ha inoltre la capacitá di attivare le difese dell’organismo, e in tal senso puó essere considerata alla stregua di un integratore alimentare utile a mantenere uno stato di salute e benessere.

Piú in dettaglio sono queste le prerogative fondamentali della propoli:

- azione antibiotica, antifungina e antivirale:
- effetto antiossidante (e quindi anche anti-invecchiamento) e anti-irrancidente;
- proprietá cicatrizzanti e stimolanti la riparazione dei tessuti;
- immunostimolante;
- anestetizzante.

Composizione della propoli:
Resine 45-55%
Cere e acidi grassi 25-35%
Oli essenziali 10%
Polline 5%
Altri composti organici e minerali 5%
Come per il miele, anche per la propoli i componenti possono variare a seconda delle specie vegetali visitate dalle api.

Le resine contengono la maggior parte degli almeno 40 flavonoidi presenti nel propoli mescolati a fenoli e acidi. Per quel che riguarda le cere, alcune di origine vegetale, altre prodotte dall’ape, sembra che si possano attribuire ad esse (almeno in parte) le proprietà del propoli nella cura delle ustioni.

Il polline

Il polline costituisce la parte maschile nel ciclo biologico della pianta. Le piante così come le vediamo si sono sviluppate da un embrione: la fecondazione è rappresentata per la parte maschile dalla germinazione della microspora (il polline) e per la parte femminile dalla formazione del sacco embrionale a partire dall’ovulo.

Il polline è l’unico alimento che fornisce un apporto proteico all’alimentazione delle api: per questo deve essere un alimento completo, contenente tutti gli aminoacidi essenziali allo sviluppo dell’organismo dell’ape. Questo è possibile perché il polline stesso è un organismo vivente. Per svolgere la sua funzione di produzione dei gameti maschili (i portatori dell’informazione genetica) deve germinare, ovvero subire delle divisioni cellulari. Questo implica che debba possedere tutte le sostanze che servono alle cellule per riprodursi.

Ci sono due diversi tipi di polline: entomofilo e anemofilo. La fondamentale differenza tra i due è che l’anemofilo, per fecondare la parte femminile della pianta, deve essere trasportato dal vento: è il polline che causa le temute allergie primaverili.

Il polline entomofilo si avvale invece di un sistema di trasporto “vivente”: gli insetti pronubi come l’ape. Questo polline non contiene allergeni dunque causa allergie in pochissimi casi.

L’ape bottinatrice vola di fiore in fiore raccogliendo il polline dagli stami. Ne estrae i piccoli granuli miscelandoli con il nettare che ha nella sua borsa melaria e ne fa due palline che tiene “appese” alle zampe posteriori. A questo punto rientra nell’alveare. Il lavoro dell’ape causa l’aumento dei fermenti lattici contenuti in buona quantità nel nettare (il nettare è utilizzato dall’ape come “collante” per formare le palline di polline che trasporta dai fiori all’alveare). Le api svolgono questo lavoro nei loro alveari da diversi milioni di anni: è un po’ come vedere un piccolo laboratorio dove avviene un processo di coltivazione controllata dei fermenti.

Per l’uomo che lo consuma questa eccezionale sostanza proteica è un concentrato di fermenti lattici vivi e micronutrienti.

Composizione media del polline
Acqua - 16%
Proteine (principalmente albumine) - 20%
Aminoacidi liberi - 22%
Zuccheri - 37%
Altre sostanze - 5%

Aminoacidi essenziali (in grammi ogni 100 gr di polline):
Istidina - 1,5 gr
Isoleucina - 1,5gr
Triptofano - 1,6 gr
Leucina - 5,6 gr
Metionina - 1,7 gr
Treonina - 4,6 gr
Treonina - 4,6 gr

Altri amminoacidi
Cistina - 0,6 gr
Arginina - 4,7 gr
Lisina - 5,7 gr
Valina - 6,0 gr
Acido glutammico - 9,1 gr

Altre sostanze

Grassi, pigmenti, enzimi, acidi organici, vitamine B1, B2, B6, PP, C, H, E, provitamina A, acido pantotenico, acido folico, Sali minerali, oligoelementi come ferro, rame, potassio, sodio, calcio, silicio, magnesio, manganese, cloro, zinco, alluminio, molibdeno, bario, cloro), un fattore antibiotico, un fattore di crescita. Altre sostanze, attualmente non identificate, potrebbero aggiungersi alla lista.

La cristallizzazione

Nel processo di cristallizzazione entrano in gioco gli enzimi, molecole biologicamente attive presenti nel miele: alcune di esse favoriscono un processo per cui il miele si trasforma da liquido a cristallino.

La cristallizazione può essere più o meno fine, ma deve sempre essere uniforme: un’alterazione del sapore, la formazione di aloni e la fermentazione (in alcuni casi la capsula del vaso può deformarsi o aprirsi) sono invece segno di un miele che è stato estratto prima che le api terminassero il processo di riduzione dell’umidità. Possiamo però tranquillamente dire che la cristallizzazione è una garanzia di qualità, perchè garantisce che il miele non sia stato sottoposto a trattamenti di pastorizzazione.

Nel loro libro “Curarsi con tutti i prodotti delle api” (ediz. Red 2006) T. Cherbuliez, medico svizzero e il collega R. Domerego, naturopata, scrivono:

“[…] la pastorizzazione a 78° C […] questa operazione, provocando la rifusione dei cristalli di glucosio, avrà l’effetto di evitare la cristallizzazione del miele e di mantenerlo allo stato liquido. Ma questo è un metodo che, come abbiamo già detto, sconsigliamo vivamente. La ricchezza del miele consiste precisamente nell’essere un alimento vivente, e alcune sue proprietà essenziali scompaiono nel corso di questo riscaldamento, che lo sottopone a uno stato di stress brutale e inutile. La sterilizzazione sistematica è uno dei tanti punti deboli della nostra civiltà. Come se, perdendo il contatto con la natura, l’uomo avesse iniziato a temerla”.

Azione antibatterica

Nota da tempo è l’azione antibatterica del miele, dovuta alla sua elevata concentrazione zuccherina e al pH acido, e delle soluzioni di miele, grazie all’azione della glucoso-ossidasi contenuta. Questo enzima, inattivo nel miele puro, in soluzione si attiva, trasformando il glucosio in acido gluconico e acqua ossigenata. Questo accorgimento è dovuto alla necessità di proteggere il miele in formazione dai batteri, quando ancora non agiscono l’acidità e la concentrazione di zuccheri.

Conservazione

Grazie alle qualità di antibatterico naturale, il miele è un alimento che ha una lunga conservazione. Tuttavia, sono possibili alcune alterazioni dovute principalmente a umidità, luce e calore.

L’umidità favorisce la fermentazione: pur alterando il miele, può essere utilizzata per produrre l’idromele. La temperatura invece influenza direttamente l’aroma e i principi nutritivi: mentre al di sotto dei 10° Celsius l’effetto è trascurabile (anzi, per evitare la cristallizzazione si può conservare il miele a temperature al di sotto dello zero), due mesi a 30° degradano il miele come un anno e mezzo a 20°. Analogo discorso vale per la luce diretta, quindi è opportuno conservare il miele in recipienti scuri o al chiuso. Inoltre, essendo igroscopico, il miele tende ad assorbire l’umidità e gli odori dell’ambiente, quindi i contenitori dovrebbero essere a chiusura ermetica.

La degradazione dello zucchero in fruttosio, sia col tempo, sia in seguito a trattamento termico, genera idrossimetilfurfurale (HMF). Dato che l’HMF è praticamente assente nei mieli freschi, il suo valore, solitamente indicato in mg per kg (ppm) è un indicatore della buona conservazione e del tipo di lavorazione del miele. Il limite imposto dalla legge italiana è di 40 mg/kg. Nei mieli industriali, che sono sempre “liquidi”, l’HMF è molto spesso vicino, se non pari a tale valore.

Tutte le confezioni di miele di "Ape Nobile" indicano chiaramente la data di raccolta.

Principi nutritivi

I principali componenti del miele sono:

Glucosio
Fruttosio
Acqua
Polline
Gli zuccheri sono presenti in quantità variabile ma in media intorno al 72%. Di questi, fruttosio e glucosio passano da circa il 70% nei mieli di melata fino ad avvicinarsi molto al 100% in alcuni mieli di nettare.

Tranne pochi casi, il fruttosio è sempre lo zucchero più rappresentato nel miele. La presenza di fruttosio, dona al miele un potere dolcificante superiore allo zucchero raffinato ma anche una fonte di energia che il nostro organismo può sfruttare più a lungo. Infatti, per essere utilizzato, deve essere prima trasformato in glucosio e, quindi in glicogeno, il “carburante” dei nostri muscoli. Il miele è dunque consigliabile agli atleti prima di iniziare un’attività fisica, grazie anche all’apporto calorico di 3.200 Kcal/Kg.

Produzione

Il miele è prodotto dall’ape sulla base di sostanze zuccherine che essa raccoglie in natura.
Le principali fonti di approvvigionamento sono il nettare, che è prodotto dalle piante da fiori (angiosperme), e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori come la metcalfa, che trasformano la linfa delle piante trattenendone l’azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri.

Per le piante, il nettare serve ad attirare vari insetti impollinatori, allo scopo di assicurare la fecondazione dei fiori. A seconda della loro anatomia, e in particolare della lunghezza della proboscide (tecnicamente detta ligula), le api domestiche possono raccogliere il nettare solo da alcuni fiori, che sono detti appunto melliferi.

La composizione dei nettari varia secondo le piante che li producono. Sono comunque tutti composti principalmente da glucidi, come saccarosio, glucosio, fruttosio e acqua.
Il loro tenore d’acqua può essere importante, e può arrivare fino al 90%.

La produzione del miele comincia nel gozzo dell’operaia, durante il suo volo di ritorno verso l’alveare. Nel gozzo l’invertasi, un enzima che ha la proprietà di scindere il saccarosio in glucosio e fruttosio, si aggiunge al nettare, producendo una reazione chimica, l’idrolisi, che dà, appunto, saccarosio e fruttosio.

Giunta nell’alveare, l’ape rigurgita il nettare, ricco d’acqua, che deve poi essere disidradato per assicurarne la conservazione.

A questo scopo, le bottinatrici lo depongono in strati sottili sulla parete delle celle. Le operaie ventilatrici mantengono nell’alveare una corrente d’aria che provoca l’evaporazione dell’acqua. Quando questa è ridotta ad una percentuale dal 17 al 22%, il miele è maturo. Viene quindi immagazzinato in altre cellette, che una volta piene saranno sigillate (o percolate).

Il miele dai tempi degli Egizi

Le origini del miele sono antichissime, le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo per seguire con le proprie arnie la fioritura delle piante risalgono a 4000 anni fa nell’antico Egitto. Ma ancor prima è stato nutrimento fondamentale delle tribù di cacciatori nomadi che popolavano la terra. Veniva utilizzato per per curare i disturbi digestivi e per creare unguenti per piaghe e ferite. All’epoca dell’unificazione dell’Egitto da parte del faraone Menes (3150 a.C. circa) il sovrano dell’Alto Egitto era simbolizzato con l’ape. Gli antichi Egizi lo tenevano in così alta considerazione da offrirlo in sacrificio alle loro Divinità, utilizzandolo anche nell’arte dell’imbalsamazione dei defunti: durante la sepoltura dei faraoni accanto al sarcofago venivano posti preziosi vasi contenenti il pregiato nettare, che insieme con altre cibarie accompagnavano il defunto nel lungo viaggio verso l’altra vita. Durante gli scavi delle tombe sono stati rinvenuti vasi di miele ermeticamente chiusi il cui contenuto si era perfettamente conservato.



Il miele ha ispirato molte leggende affascinanti e racconti sui suoi poteri magici. Le civiltà antiche, consapevoli del suo valore, lo utilizzavano sia per usi esoterici che terapeutici. I Sumeri lo impiegavano in creme con argilla, acqua e olio di cedro, i babilonesi per cucinare, i greci e romani lo apprezzavano quale rimedio terapeutico polivalente e come prodotto di bellezza, oltre che come ingrediente indispensabile in cucina.

Sia i greci che i romani ebbero l’intuizione di trasferire il miele dalla tavola alla scienza medica. La medicina ayurvedica, già tremila anni fa, considerava il miele purificante, afrodisiaco, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico e cicatrizzante. Per ogni specifico caso era indicato un differnete tipo di miele: di ortaggi, di frutti, di cereali o di fiori.

I romani ne importavano grandi quantitativi da Creta, da Cipro, dalla Spagna e da Malta. Quest’ultima pare anche derivarne il nome originale Meilat, appunto terra del miele. Veniva utilizzato come dolcificante, per la produzione di birra, come conservante alimentare, per preparare salse agrodolci e per la produzione di Idromele. Si racconta anche una esistente Idromele: isola immaginaria al largo di Pohiola abitata esclusivamente dalle api ed inaccessibile agli uomini.

Nella storia grandi filosofi e scienziati, quali Aristotele e Ippocrate, furono attratti dal mondo delle api, studiandone la complessa vita sociale e prelevando il miele per il loro consumo personale.

Si ricorreva a questo prezioso nettare anche per le sue proprietà nella cosmesi: bellezze leggendarie quali Cleopatra e Madame Du Barry, la favorita di Luigi XV, sono solo alcune delle innumerevoli donne che nel corso dei secoli hanno sfruttato il miele nei loro trattamenti estetici. Isaia profetizza la venuta del Cristo dicendo: Egli mangerà panna e miele , finché non imparerà a rigettare il male ed a scegliere il bene”.
Il miele riveste un simbolo di dolcezza e designa la terra promessa, felice e feconda.

Nella tradizione greca la leggenda dice che Pitagora si nutriva di solo miele, inteso nei due sensi, ovvero spirituale e corporeo. Porfirio scrive che al momento dell’Iniziazione “si versa sulle mani degli iniziandi non acqua, ma miele, per lavarli […] perchè, con questo si purifica anche la lingua da ogni errore”. Lo stesso Porfirio aggiunge che è simbolo di vita e di morte, come è simbolo di torpore e di lucidità, e viene offerto agli Iniziati di grado superiore come segno di vita nuova. Così anche nei Misteri di Mitra, in occasione del passaggio ai gradi iniziatici di Leone e Persiano, le purificazioni invece dell’acqua utilizzavano il miele.
Nell’ Inno a Hermes è considerato il “cibo sacro dei numi”; per Pindaro “il piccolo Iamos ha ottenuto il dono della divinazione perché nutrito con il miele”.

Euripide dichiara che le Baccanti, raggiunto lo stato di suprema esaltazione, erano capaci con il tirso di far uscire “rivi di latte, mentre i tirsi intrecciati di edera distillano la dolce rugiada di miele”.
Al miele naturalmente si associa anche il racconto delle api. Le stesse sacerdotesse di Cibele erano chiamate Melissai, cioè api. L’ape rappresenta anche l’anima che, discesa nel mondo della genesi, medita la riascensione.

Ancora oggi possiamo ritrovarne i segni nella civiltà boscimane, cacciatrice di miele da tempi ancestrali; per i boscimani il suo consumo, seppur occasionale, è apporto fondamentale di vitamine e micronutrienti molto preziosi per la prevenzione di raffreddori e bronchiti.
Le punture d’api

Le api italiane, a differenza di altri inssetti (quali vespe, calabroni etc.), sono tra le più tranquille della specie: la loro aggressività, quasi sempre, è limitata a pochi metri nel raggio dell’apiario e si manifesta in particolari situazioni:
- durante una visita, è possibile che si innervosisca la famiglia con bruschi movimenti, in particolare durante l’estrazione dei telaini.
- tutte le volte che sono eccitate dal feromone dell’allarme, sopratutto quando si cominciano a ricevere le prime punture, sviluppandosi tale feromone con l’espulsione del pungiglione insieme alla sacca velenifera. 
Dopo aver ricevuto una puntura è consigliabile allontanarsi velocemente dall’apiario. Si consiglia inoltre di togliere il pungiglione per evitare che tutto il veleno venga inoculato. Naturalmente se si sta lavorando è impensabile andarsene via: si dovrebbe provvedere a priori usando indumenti adatti, possibilmente chiari, guanti e maschere, facendo particolare attenzione che i tessuti utilizzati impediscano l’ingresso dei pungiglioni.

Se si è allergici alle punture di insetti, una sola ape potrebbe mettere a repentaglio la vita dell’operatore (shock anafilattico): oltre ad una preventiva protezione con indumenti, è il caso di tenere a portata di mano una cassettina per il pronto soccorso, in cui vi siano i farmaci adatti per evitare complicanze.

Il veleno delle api

E’ secreto da due ghiandole: una acida, l’altra alcalina. Viene accumulato nella vescichetta velenifera e all’atto in cui l’ape punge viene iniettato nella ferita prodotta dal pungiglione. Il pungiglione accompagnato dalla vescichetta del veleno si stacca, continuando ad iniettare veleno nei tessuti per diversi minuti dopo la puntura. I movimenti peristaltici del pungiglione durano addirittura ore se il paziente non l’elimina prima. Le quantità prodotte da un’ape si aggirano attorno agli 0,1 - 0,3 mg, e variano a seconda della stagione. Il veleno d’api contiene acqua, istamina, melittina, una lisolecitina, apamina e due enzimi oltre ad altre sostanze non note. Il veleno d’api possiede proprietà terapeutiche (vasodilatatore, anticoagulante, cardiotonico, revulsivo) e viene utilizzato principalmente nella cura delle affezioni reumatiche da artrosi e di certe affezioni cardiache mediante apiterapia.

L’arnia razionale

L’apicoltura razionale viene praticata con arnie derivanti dal modello messo a punto da Langstroth, basato su misure prestabilite collegate con il cosiddetto “Passo d’Ape”.

Oggi che l’arnia razionale è a portata di tutti gli apicoltori, la scoperta del passo d’ape sembra una cosa banale. Un giovane pastore di Andover - Massachussetts, Lorenzo Lorraine Langstroth , nel 1851 concepì un’arnia che tenesse conto del passo d’ape, o spazio d’ape. Affascinato dal mondo delle api, apicoltore lui stesso, aveva letto molti libri tra i quali Lettere di Huber, procurandosi anche l’arnia a libro da lui inventata.

Decise di lasciare tra coprifavo e portafavo, e tra i montanti dei telaini uno spazio di 9,5 mm. Questo spazio permise a Langstroth di rimuovere i telaini senza che questi venissero fissati, cioè propolizzati alla parete e al tetto: era così nata l’arnia a telaino mobile. Nello spazio da lui lasciato libero le api non costruirono né favi, né ponti, ed il telaio diventò veramente mobile. L’arnia a telaino mobile, entrata nell’uso comune nel 1861 in America, si diffuse in Inghilterra l’anno successivo e da qui in tutte le parti del mondo, Italia compresa, con diverse varianti, tra le quali ricordiamo la Dadant-Blatt e l’Italica-Carlini.

Lo sviluppo della covata

L’uovo dell’ape, di colore bianco perla, misura 1,5 mm di lunghezza e 0,3 mm di diametro. Appena deposto viene “incollato” al fondo della cella in posizione verticale, con la parte più sottile rivolta in basso, da una gocciolina di liquido adesivo emesso dalla stessa regina.

L’uovo deposto si adagia dopo tre giorni sul fondo della cella e schiude una larva più piccola dell’uovo stesso. Quest’ultima, di aspetto bianco perla, somiglia a un piccolo vermiciattolo. Nutrita con gelatina reale (solo per i primi tre giorni, da ape operaia e fuco) ha uno sviluppo rapidissimo: nel giro di 72 ore si acciambella (con la caratteristica “forma a C”) occupando l’intero fondo della cella.

La larva subisce cinque mute. Finita di crescere la larva si distende con la testa rivolta verso l’apertura ed è pronta per trasformarsi in ninfa. E’ in questo stadio che avviene l’opercolamento: le celle vengono “tappate” alla sommità con un opercolo di cera ed al loro interno si assiste alla metamorfosi. Cominciano a formarsi tutti gli organi che, a seconda della casta, portano in tempi diversi al perfezionamento dell’insetto (è questa una delle fasi piu’ delicate per il buon andamento dell’intero apiario, da una covata normale, dipende infatti la salubrità dell’intera famiglia e proprio in questa fase vi si possono arrecare i danni più gravi, sopratutto a causa di patologie, varroasi in primis, che causano l’imperfezione dell’insetto).

Dalla deposizione dell’uovo allo sfarfallamento i tempi sono diversi per l’operaia, il fuco e la regina. L’operaia impiega 21 giorni, il fuco 24 e la regina 16. Dopo questo tempo l’insetto rosicchia l’opercolo e sfarfalla dando inizio alle attività alle quali è deputato. E’ bene sapere che, per un corretto sviluppo, sia l’ovicino che la larva hanno bisogno di una temperatura tra i 30° ed i 35° C, mantenuta costante dalle operaie che affollano i favi.

Morfologia dell’ape adulta

Il corpo dell’ape è costituito da un esoscheletro chitinoso la cui rigidità lo fa apparire come scheletro esterno. Esso si suddivide in tre segmenti: capo, torace e addome.

Il capo.

E’ mobile ed è unito al torace da un collo sottilissimo.

E’ composto da
- due occhi laterali coperti di peli microscopici, composti da circa 3000 faccette (Ommatidi), la cui superfice appare formata da decine di esagoni. L’occhio dell’ape è sensibile all’ultravioletto e insensibile al rosso che è percepito come nero;
- tre occhi semplici, detti Ocelli, situati sulla parte superiore della testa, per la visione ravvicinata al buio e all’interno dell’alveare;
- due antenne orientabili costituite da un tronco, detto Scapo, sul quale si innesta una frusta costituita da 12 articoli, detta Flagello. Le antenne sono gli organi di senso dell’ape: rivestono quindi funzioni olfattive, tattili e comunicative;
- dalla bocca, fornita di due mandibole utili a plasmare la cera, raccogliere la propoli, aprire i calici dei fiori, rompere gli opercoli etc. E’ anche presente una ligula o proboscide che serve ad aspirare il nettare e l’acqua. La lunghezza della ligula può variare da 5,5 a 7 mm. La ligula dei fuchi è molto più corta di quella delle operie e poco adatta a bottinare il nettare. La lunghezza della ligula è molto importante: da essa infatti dipende, generalmente, la ricettività o meno di un determinato fiore per l’ape;
- dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari, necessarie per la secrezione della gelatina reale.


Il torace.
E’ costituito da tre segmenti uniti tra loro. Su ciascun segmento si articolano un paio di zampe. Sul secondo e sul terzo sono articolate due paia di ali membranose. Le zampe sono costituite dall’articolazione di: anca o coxa, trocantere, femore, tibia, tarso. Il tarso comprende un grande articolo, prolungato da quattro piccoli articoli terminanti con due artigli ed una ventosa. Le zampe anteriori sono munite di un intaglio a lunotto per pulire le antenne. Le zampe intermedie sono munite di uno sperone per staccare le pallottole di polline delle cestelle, dentro le celle dei favi, all’arrivo nell’alveare. Le zampe posteriori sono munite di cestelle dove viene accumulato e trasportato il polline sotto forma di pallottole. Le ali sono membranose, muscolose, cave, trasparenti e tese su una nervatura rigida. Le due ali anteriori sono articolate sul secondo anello o mezzo torace, mentre le due posteriori sono articolate sul terzo anello a metà torace. La frequenza dei battiti alari di un’ape può variare tra i 180 ed i 250 cicli al secondo.

L’addome.
L’addome delle api è costituito da dieci segmenti chitinosi, disposti però in modo da apparire solo sette. Il primo è incorporato al metatorace, i successivi sono ripartiti in 12 mezzi segmenti: 6 dorsali e 6 ventrali. Lateralmente, su ogni segmento, si trovano due fori (stigmi) dai quali l’ape respira. Sotto l’addome sono situate le ghiandole ceripare, necessarie alla secrezione della cera per la costruzione dei favi, dalle quali fuoriesce con forme pentagonali. Sull’ultimo segmento si trova il pungiglione (solo nelle femmine operaie e regine).

Nell’addome sono contenuti molti organi essenziali quali:
- la vescichetta melaria, una sorta di ampolla nelle quale le api raccolgono il nettare e l’acqua per trasportarli nell’alveare. Solo una piccola parte passa nello stomaco come alimento per le stesse;
- l’intestino medio, con funzione digestiva degli alimenti;
- l’intestino posteriore, comprendente l’ampolla rettale, dove si accumulano le deiezioni ( che vengono trattenute anche per diverse settimane in caso di avverse condizioni atmosferiche);
- l’apparato circolatorio, per la circolazione dell’endolinfa necessaria ad alimentare i vari tessuti e organi;
- il sistema nervoso, costituito come in tutti gli imenotteri da gangli perisofagei e da una catena gangliare ventrale;
- i tubi Malpighiani, che hanno funzioni escretorie;
- la ghiandola di Nasanoff, visibile ad occhio nudo quando viene sfoderata come richiamo attrattivo, con l’emissione di un feromone.
Un discorso a parte va fatto per gli organi riproduttori: atrofizzati nelle operaie, attivi invece nalla regina e nel fuco. La regina possiede due ovari piriformi, a loro volta formati da 180 ovarioli, nei quali si formano e maturano le uova prima della loro emissione. L’uovo maturo attraversa l’ovidutto, dove sbocca il dotto della vescichetta spermatica. Quando l’uovo deve dare luogo alla nascita di un’operaia o di una regina viene fecondato dagli spermatozoi, quando invece deve dar luogo ad un fuco esso passa senza ricevere gli spermatozoi in quanto l’uovo del fuco si sviluppa per partenogenesi.

Il fuco invece possiede due testicoli, due vescichette seminali dove sono contenuti gli spermatozoi ed un apparato copulatore, che si strappa all’atto della fecondazione della regina: in quel momento il fuco muore.

Polline millefiori

E’ molto difficile definire la composizione di un polline millefiori, visto che ad ogni fiore corrispondono presumibilmente proprietà diverse. La cosa di cui possiamo essere sicuri è che anche a queste varietà può essere esteso il potere curativo del polline. In attesa di vedere la ricerca muovere qualche passo nel campo delle analisi e dello studio delle proprietà dei pollini, sarà il consumatore stesso a capire se trarrà un maggiore o minore beneficio per un determinato disturbo.


Polline di castagno

Di colore giallo, è particolarmente ricco di polifenoli (in 15 grammi di polline di castagno troviamo la stessa quantità di antiossidanti contenuta in sei tazze di thè verde), che aiutano ad arrestare il fenomeno di occlusione delle vene e delle arterie dovuto all’arteriosclerosi.


Ricco di fermenti lattici, il polline fresco è indicato per il mantenimento e la stimolazione della flora intestinale. E’ raccomandato per le donne sopra i quarantacinque anni di età con problemi ormonali, e in tutti gli stati di stress. In termini di gusto è ritenuto il polline più dolce e piacevole.

Quando fa bene

  • Acacia (robinia): ottimo per sostituire lo zucchero senza interferire col gusto proprio delle vivande. Leggermente lassativo, è particolarmente valido contro le irritazioni della gola.
  • Agrumi: apprezzato per dolcificare il the freddo e le spremute d’arancia, ha un effetto calmante nei casi di insonnia.
  • Castagno: ricco di sali minerali, ferro in particolare, favorisce la circolazione sanguinea. E’ un ottimo ricostituente e calmante della tosse.
  • Corbezzolo: ha proprietà diuretiche ed è un ottimo antisettico.
  • Eucalipto: ideale come dolcificante nelle limonate, ha proprietà balsamiche utili a combattere raffreddori, bronchiti e raucedini. Antisettico delle vie respiratorie.
  • Girasole: consigliato come antinevralgico, diuretico e astringente; efficace nei casi di malattie influenzali per la sua caratteristica di febbrifugo.
  • Lupinella: energetico, favorisce l’attività fisica.
  • Melata d’abete: ottimo antisettico delle vie respiratorie, da utilizzare come coadiuvante in caso di bronchiti e faringiti.
  • Melata di metcalfa: ha elevate proprietà antibatteriche ed è un ottimo antianemico, indicato per gli sportivi.
  • Rododendro: è un ottimo coadiuvante nella cura di bronchiti e inappetenza.
  • Sulla: è un efficace diuretico.
  • Tarassaco: indicato per gli atleti o per coloro che devono affrontare sforzi intensi.
  • Tiglio: ottimo per combattere l’insonnia, nervosismo ed emicranie.
  • Trifoglio: è indicato per chi pratica sport o affronta intense fatiche fisiche.

La cera

La cera è una sostanza grassa secreta da specifiche ghiandole ceripare, funzionanti nelle api operaie di età compresa tra i 12 e i 18 giorni subito prima di diventare bottinatrici.

La cera viene emessa sotto forma di piccole goccioline che a contatto con l’aria si solidificano in scaglie. L’ape modella la cera con le mandibole, utilizzandola per la costruzione dei favi, aggiungendo polline e propoli.
Il prodotto secreto dall’ape è di colore quasi bianco, solo dopo la lavorazione con polline e propoli assume una colorazione gialla.

Sostanza chimicamente molto stabile, la cera è resistente all’ossidazione e agli attacchi degli acidi. La cera prodotta dagli apicoltori deriva prevalentemente dalle operazioni di disopercolatura e di smielatura per centrifugazione.
Mentre in passato l’uso della pura cera d’api aveva numerosi campi d’applicazione, ora le cere sintetiche stanno soppiantando quelle naturali.

Pertanto attualmente la cera d’api viene reimpiegata dagli apicoltori per la fabbricazione di fogli cerei, o utilizzata per oggettistica e candele.

La cera è composta da un “miscuglio” complesso di oltre 300 componenti. Per averne un’idea di massima può risultare utile mostrarne nel dettaglio la descrizione fatta da A. Contessi:
Esteri di acidi cerosi 70%
Acidi liberi 14%
Idrocarburi 12%
Esteri sterolici 1%
Alcoli liberi 1%
Lattoni 0,6%
Flavonoidi 0,3%
Umidità e altre sostanze 1,1%
Queste sostanze possono essere considerate molto stabili, resistenti all’ossidazione e all’idrolisi.

La pappa reale

La pappa (o gelatina) reale costituisce il nutrimento di tutte le larve dell’alveare nei loro primi tre giorni di vita. E’ anche il nutrimento esclusivo dell’ape regina nel corso di tutta la sua esistenza. E’ prodotta solo dalle api nutrici, in età compresa tra il 5° ed il 14° giorno dalla loro nascita, come secrezione delle ghiandole ipofaringee e mandibolari.

tratto liberamente da Wikipedia


Link utili

  Federazione Apicoltori Italiani 
La più attiva e storica Associazione di Apicoltori Italiani, fondata nel 1953, dal Conte Antonio Zappi Recordati, agronomo, illuste apicoltore e studioso di apicoltura.
 Apicoltura AAAB
Un sito fatto molto bene, che vale la pena di visitarlo per trovare notizie utili e tutti i prodotti per l'apicoltura.
  Apicolturaonline
E' il capostipite di tutti i siti apistici, ricco d'informazioni, costantemente aggiornato.
  Istituto Nazionale di Apicoltura (INA) 
L’Istituto è impegnato su due fronti principali: la ricerca e i servizi per l’apicoltura.
  Mondoapi
Immagini dal meraviglioso mondo delle api, per farvi apprezzare il paziente e industrioso lavoro che si nasconde in una goccia di miele.
 Apicoltura 2000
Tecniche in apicoltura, prodotti delle api: miele, cera, polline, propoli, pappa reale; patologie: varroa, peste americana; ricette a base di miele; leggi e annunci economici. Tutto per diventare apicoltori
 U.N.A.API.
Mieli d'Italia sito ufficiale Unione nazionale associazioni apicoltori italiani Unaapi
 Fotoapi
Fotoapi è una mostra fotografica didattica sull'affascinante mondo delle api. Esposizione di foto, curiosità, nozioni scientifiche riguardanti questi insetti sociali. Particolarmente rivolta a scuole, associazioni culturali, pro loco e comuni.