Il miele nei secoli


Il miele nei secoli. Storia del cibo celeste

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CIBO. Dall’origine ultraterrena alle nostre dispense. Laura Prosperi, docente di Storia e cultura dell’alimentazione all’università di Milano, racconta l’uso nel tempo di un alimento insostituibile in cucina e in medicina.
Ghiottoneria o rimedio per il mal di gola, il miele è un prodotto da sempre presente nella tradizione occidentale. Ma a differenza di altri cibi, anch’essi immancabili in dispensa, ha una peculiarità tutta sua: quella di non essere stato immediatamente riconducibile a un processo di produzione. Si può ben dire, infatti, che il miele sia stato per lungo tempo un alimento di provenienza invisibile. Di questo e della fortuna del miele nei secoli abbiamo parlato con Laura Prosperi, storica dell’università di Milano e autrice de Il miele nell’occidente medievale, per i tipi dell’Accademia dei Georgofili, che ci ha aiutato a riassumere la storia di questo alimento. A partire da molto lontano. «Gli antichi avevano elaborato un’ipotesi, riportata anche da Aristotele: il miele era un prodotto del cielo, di origine celeste. Si pensava, infatti, che questo alimento si depositasse nella corolla floreale e da lì raccolto dalle api. Con alcune conseguenze: l’associazione con la manna biblica, e una certa valorizzazione, per così dire, mistica. Il rapporto fra ape e miele era chiaro, ma non era chiaro come venisse creato. Per molto tempo si è pensato che si collezionasse».

È nel Medioevo che il miele viene in un certo senso demitizzato e diventa un bene di scambio?
Sì, ma entra secondo l’economia del tempo. Nell’Alto Medioevo, per esempio, si viveva di autoconsumo; sicché il suo sfruttamento, senza dubbio importante, rimase limitato. Purtroppo non possediamo molte fonti sul consumo pro capite, e quelle in nostro possesso non ci offrono un quadro esaustivo poiché indicano sì un consumo annuo, ma non rappresentativo dell’intera popolazione.

E quale uso ne veniva fatto? 
Bisogna innanzitutto sfuggire dalla semplificazione del miele come dolcificante, perché per addolcire i cibi c’erano altre sostanze quali i concentrati zuccherini a base di fichi e uva. Era certamente meno dispendioso dello zucchero, che poteva costare anche ventiquattro volte di più, ed è curioso che oggi questo rapporto si sia ribaltato. Se nei secoli lo zucchero era apprezzato come cibo genuino e quasi elitario, ora è così per il miele, con consumatori esigenti e con una più spiccata sensibilità ambientalista.

Come veniva consumato?
Per loro mangiare il miele a morsi direttamente dal favo era una pratica estrema. Il gusto medievale non era poi aperto al dolce come il nostro, perché la separazione netta dei sapori rimane una caratteristica del mondo contemporaneo. Quindi, con riferimento al mondo medievale e rinascimentale, possiamo definire il miele come un condimento e un conservante, ma non solo. Lo si pensava anche come qualcosa da doversi mischiare con altro. Quelli che ricorrevano al miele da solo erano affamati, asceti, persone indigenti. Possedere soltanto il miele sembrava quasi una punizione, e mangiarlo con il cucchiaio, come magari si fa oggi, era un’aberrazione. Come se noi mangiassimo del peperoncino da solo.

Che tipo di produzione era quella medievale?
Era chiaramente molto diversa. La tecnica allora incideva molto sulla qualità del prodotto, che risultava essere meno omogeneo di come lo conosciamo noi. All’epoca non era difficile trovare parti di cera nelle confezioni. Inoltre c’erano minori capacità di conservazione, i contenitori non erano sterili, e anche le modalità di raccolta erano diverse e senza dubbio più rischiose. Insomma, altri tempi e altre esigenze.

E un’altra esigenza era quella medica. Che il miele fosse un valido antibatterico era cosa nota nell’Età di Mezzo. 
Esatto, il miele rosato era una di quelle cose che uno speziale non poteva non avere, e sappiamo di bevande a base di miele usate per il sistema respiratorio. Ma va detto che quello del Medioevo non è un uso primigenio. Nella medicina classica il miele era già usato per molte cose, e nei chiostri continua ad avere impiego simile. Diciamo che medicina e cucina sono sempre andate di pari passo, senza che l’una avesse una posizione predominante rispetto all’altra.

Che tipo di rapporto si è venuto a creare fra l’uomo e le api?
Sicuramente c’è sempre stata una sorta di curiosità. Pur essendo evolutivamente distanti da noi, le api sono state apprezzate e valorizzate come modello di coesione e coesistenza, e questo non solo ai tempi del monachesimo, ma anche in tempi recenti; una certa satira politica inglese ne esaltava le virtù. Per dire, un tempo si pensava che l’ape regina fosse un re, e che godessero di generazione spontanea (e dunque fossero campioni di castità). Poi si capì che non solo al vertice del loro sistema c’era una femmina, ma che questa si accoppiava con diversi fuchi, e che le api sono tutt’altro che laboriose. Questo destabilizzò un poco la loro immagine virtuosa. Ma rimase comunque l’ammirazione, per esempio, per il sistema di difesa. Sa che in presenza di un insetto più grande che minaccia l’alveare, fanno uso della cera per imprigionarlo?

Insomma, la scienza ha contributo a rivedere alcune osservazioni popolari sulle api.
L’ape rimane l’insetto più studiato, ma forse questo vuol dire che l’entomologia deve dire ancora molto. Rimane un mistero il modo in cui un cervello che pesa un micron riesca a formulare, comunicare e recepire il volo a forma di otto, lineare, o a zig e zag, come messaggio di qualcosa. Uno studioso austriaco, Karl von Frisch, vinse anche il premio Nobel per i suoi studi su movimento e comunicazione delle api; ma al di là di questo, non c’è un forte interesse per saperne di più. Ma non solo oggi, è una tendenza millenaria.

Come mai?
Forse perché l’Occidente ha spesso associato gli insetti al Male, come fossero creature infernali. Poi perché, a differenza di altre culture, non li mangiamo, e anzi sono dei nostri concorrenti in quanto parassiti. Questo credo che abbia alterato i rapporti.

A proposito di rapporti. Quello fra latte e miele è un binomio noto e lontano nel tempo.
E c’è una ragione: è la coppia alimentare più citata nell’Antico Testamento, ben ventuno volte. Di fatto ha rappresentato un topos letterario, nel senso che nella letteratura il latte con il miele è diventato uno dei simboli del paese della cuccagna. Si ritrovava nelle opere dei grandi autori, nella tradizione popolare, nei libri di viaggio... faceva dunque parte di un retaggio antico che rappresentava la condizione paradisiaca perduta. E questo sebbene non fosse mai citato direttamente nella rappresentazione dell’Eden. Ma c’è anche un’altro aspetto molto interessante.


Quale?
La fortuna di questa immagine è nella sintesi: il latte era un elemento organico per eccellenza (in quanto generato dalla mucca). Il miele, come detto, era invece percepito come di origine divina. Dunque cielo e terra, terreno e ultraterreno, nutrimento e cura, vivere e sopravvivere. E il miele aveva buona parte del merito nella creazione di questa simbologia: alimento non alimento e di origine quaresimale.

Buono e curativo.
Latte e miele funziona, proprio come l’aspirina. Un binomio partito dalla Bibbia e arrivato sino a oggi.